CACCIA

La caccia era praticata sia dai coloni, sia dagli aristocratici, anche se con finalità differenti.
Infatti, se per i primi costituiva un’importante fonte di approvvigionamento con cui integrare il bilancio alimentare della famiglia, per i nobili era la forma di svago prediletto, che consentiva loro di prepararsi ed esercitarsi alla guerra, dato che erano necessarie abilità, senso strategico, gusto per il rischio e grande forza fisica.
I re andavano a caccia in riserve esclusive, ma l’amore per l’arte venatoria era condiviso da tutta la classe signorile. Tra le foreste italiane si ricorda quella di Orba, nelle Langhe a sud di Alessandria, che viene citata nella Historia Langobardorum di Paolo Diacono: lì andava a cacciare il cervo Liutprando, accompagnato dai suoi uomini (Hist. Lang, VI, 58).
A seconda della tipologia e della taglia della selvaggina e dell’habitat di questa, si utilizzavano anche metodi differenti. Da una parte troviamo la caccia “grossa”, cioè quella al cervo, al cinghiale, al capriolo, animali diffusi nelle selve paludose delle pianure europee e specialmente nella valle Padana. Sulle pendici alpine, invece, si trovavano in abbondanza camosci e stambecchi, capre selvatiche, orsi e l’uro, una sorta di grosso bisonte ormai estinto.
Per questo tipo di selvaggina, i signori organizzavano grandiose battute di caccia che necessitavano di cavalli, mute di cani da punta e squadre di battitori.
L’altro tipo di caccia praticata era quella alla selvaggina di piccola taglia, che viveva nei territori boschivi: lepri, conigli selvatici (la cui carne era assai apprezzata), pernici rosse e grigie, fagiani e quaglie.
Inoltre, dall’Editto di Rotari apprendiamo che presso i Longobardi animali acquatici come la gru e la cicogna erano oggetto sia di allevamento sia di caccia.
Un’altra pratica venatoria molto diffusa nell’epoca altomedievale era la falconeria, ossia la caccia mediante l’utilizzo di rapaci che erano debitamente addestrati per dare la caccia alla selvaggina piumata.
A sussidio di questa tecnica, i Longobardi misero a punto l’uso dell’arco con frecce avvelenate, della fionda e delle trappole. Largamente praticata era anche la caccia notturna, in cui venivano impiegate delle lanterne per abbagliare e catturare la selvaggina.

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