LA MENSA DEI MONACI

L’incontro tra la religione cristiana e il popolo longobardo avvenne nel 591 grazie alla conversione del re Agilulfo, sposo della regina Teodolinda, vedova di Autari e già seguace della Chiesa di Roma.
I Longobardi, per conformarsi al volere del loro sovrano, si convertirono e fu allora che la religione cristiana ne influenzò fortemente anche il modello alimentare. Infatti, pane, vino e olio, alimenti già alla base della cultura enogastronomica romana, divennero ben presto alimenti indispensabili, necessari alle funzioni religiose, in quanto simboli sacri e oggetto del dogma della transustanziazione.
Nel corso dell’alto medioevo, si assistette anche a un rinnovamento del monachesimo in Occidente, che subì l’influsso di quello di matrice orientale.
Una delle regole che i monaci dovevano osservare rigorosamente, in quanto esempio per tutta la comunità cristiana, era la mortificazione del corpo, che passava attraverso la pratica dell’astinenza dal cibo. Questo, infatti, era considerato, al pari di tutte le cose terrene, un ostacolo verso l’ascesa dello spirito a Dio.
Per questo motivo, i monaci dovevano rifiutare la carne, specialmente quella rossa di animali quadrupedi e di selvaggina, simbolo di potere e di forza guerriera e pertanto in contrapposizione all’idea di una vita umile, semplice e pacifica. Era invece consentito l’uso in cucina di pollame e di altre carni bianche di volatili.
La carne poteva essere sostituita con prodotti ad alto valore nutrizionale: pesce, formaggio, uova e legumi. In particolare, il pesce – già simbolo di Cristo e citato più volte allegoricamente nel Nuovo Testamento – svolgeva un ruolo fondamentale nella dieta dei monaci, tanto che tanto che molti monasteri erano dotati di vasche per l’allevamento ittico.
La mensa delle congregazioni monastiche era imbandita con cereali, legumi e verdure, che fungevano da piatto principale, ed erano accompagnati da una libbra di pane bianco fresco al giorno. Inoltre, i monaci potevano bere anche vino, sia pure con moderazione.
Di norma, erano previsti due pasti al giorno, ma vi erano momenti particolari dell’anno liturgico in cui erano in vigore il digiuno e l’astinenza.
Durante la Quaresima, la Pasqua e l’Avvento i monaci dovevano mangiare di magro almeno due o tre giorni alla settimana e alla stessa condotta dovevano attenersi anche i fedeli; solamente i bambini e i malati potevano mangiare un poco di più o cibarsi di alimenti vietati al resto della comunità.
Nei refettori dei monasteri era d’obbligo l’osservanza del silenzio durante i pasti, che venivano accompagnati dalla voce di un lettore che leggeva le Sacre Scritture.
Questa regola era stata concepita perché i monaci, ascoltando i passi della Bibbia, si distraessero dal cibo, senza trarne piacere, mantenendo la mente rivolta a Dio e alla preghiera.
Pertanto, il cristianesimo sconvolge le abitudini del popolo longobardo anche a tavola, sostenendo che il cibo non è un piacere in cui indugiare, ma solo una necessità del corpo per mantenersi in vita, senza alcuna implicazione di tipo conviviale o celebrativo all’infuori del momento del momento liturgico sacro dell’eucarestia.

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