LA VIGNA

Per la cultura e le tradizioni alimentari longobarde, la vigna era un elemento imprescindibile, tanto da essere diffusa ovunque: ne sono state ritrovate delle tracce archeologiche sia presso i centri urbani, sia nelle immediate prossimità e in alcune curtes, soprattutto nella pars dominicia gestita direttamente dal latifondista-signore.
Poiché, a differenza delle altre colture, la vite richiede molte più cure e attenzioni costanti da parte dell’uomo, richiede l’impiego di un elevato numero di coltivatori e coloni; pertanto, la vigna è menzionata nei documenti d’epoca longobarda come coltura specializzata, indicata con il nome di vinea o terra vineata.
Si trattava di un terreno così prezioso da essere protetto da un recinto e minuziosamente controllato, tanto che nei contratti venivano sempre precisate le operazioni da svolgere ad opera dei contadini: scassare il terreno, scavare la fossa, piantare la vite, arare fino a tre volte, potare con cura, proteggere il terreno con recinti e così via.
Inoltre, nei documenti figurano clausole specifiche che prevedevano l’impianto di nuovi vigneti a fronte di una riduzione dei canoni di affitto, fino addirittura all’esenzione totale.
Associata alla coltivazione della vite era assai spesso quella del salice, poiché dal suo legno si ricavava il materiale necessario a legare le viti, e di selve stalarie, dalle quali si traevano i pali (aminicula) per il sostegno dei filari di piante.

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