CIVIDALE LONGOBARDA

La bassura cividalese denominata “Valle” è una zona di particolare fascino, affacciata sulle rive scoscese del Natisone in una cornice ambientale aspra e suggestiva. Qui vi era la “Gastaldaga”, cioè la sede del gastaldius regis, amministratore del patrimonio fiscale e dei possedimenti del re longobardo a Cividale e nel ducato friulano. Questo settore urbano aveva una funzione centrale nell’ambito della città e ciò influenzò l’evoluzione monumentale del luogo. In questo contesto fu fondato, ancora in età longobarda, il Monastero di Santa Maria che si sarebbe sviluppato nel corso dei secoli inglobando gli edifici più antichi. Il Tempietto Longobardo, noto anche come Oratorio di Santa Maria in Valle, sorge all’interno dell’omonimo monastero. Fu edificato all’interno della Gastaldaga longobarda nel terzo quarto dell’VIII secolo con funzione di cappella palatina della corte regia, il che spiega l’altissima qualità dell’edificio. Divenne poi oratorio delle monache nell’ambito del monastero fino a quando fu ceduto al Comune di Cividale del Friuli, che dal 1893 lo aprì al pubblico realizzando un nuovo accesso dal Natisone, tuttora in uso.
Il Tempietto rappresenta una delle più importanti espressioni dell’architettura e dell’arte che i Longobardi hanno lasciato nella penisola. L’esterno dell’edificio presenta un aspetto sobrio, con le pareti animate da semplici arcate cieche, a contrasto con la ricchezza decorativa che ancora caratterizza l’interno.
Volto a Oriente, l’edificio si compone di due vani: l’area presbiteriale coperta da tre volte a botte e l’aula a pianta quasi quadrata con copertura a crociera. La pianta si fonda su un rapporto tra i due vani di 3 a 5, dal pronunciato sviluppo in altezza. Nell’aula le pareti interne sono ritmate da nicchie con arconi: quella occidentale incornicia l’ingresso principale e ha conservato integralmente il suo aspetto originario, con l’articolazione dell’elevato in tre zone che si ripeteva nelle pareti nord e sud; ciò consente di ricomporre virtualmente l’aspetto che la piccola costruzione doveva avere nell’VIII secolo. Le pareti presentavano un alto zoccolo in marmo, al di sopra del quale si snodava la complessa decorazione della fascia mediana ad affresco, con figure di santi distribuiti ai lati dell’arcone centrale, quest’ultimo abbellito da un tralcio di vite e sostenuto da due alti capitelli in stucco retti da semicolonne.
I magnifici archi, in origine policromi e forse impreziositi da zone ricoperte da foglia d’oro, incastonavano le lunette con affreschi: sono ancora leggibili nella parete sud la Madonna col Bambino tra due Arcangeli, in quella ad occidente il Cristo tra gli arcangeli Michele e Gabriele. A partire da tale fascia per proseguire sulla parete est, si legge la scritta dedicatoria che sottolinea l’alto livello della committenza, legata all’ambito regio. Nell’ordine superiore le pareti si aprono con cinque finestre, delimitate ai lati da colonnine e da un arco lavorato a giorno: una al centro della parete occidentale e due su ciascuna delle pareti laterali. Sulla parete occidentale ai lati della finestra si sviluppa la decorazione in stucco ad altorilievo che riproduce una teoria di sei figure femminili: altre, oggi perdute, dovevano essere collocate simmetricamente a gruppi di tre tra le finestre delle pareti laterali. Le figure, alte poco più del reale, sono tutte nimbate: due ai lati della finestra, raffigurate leggermente di tre quarti in atto di devozione, vestono tunica e palla alzata a coprire la testa, le altre quattro, in posizione frontale, riccamente vestite e decorate con collare gemmato e diadema, reggono nelle mani la corona del martirio e la croce. La decorazione delle pareti era ulteriormente arricchita da cornici marcapiano in stucco realizzate a motivi floreali, con ampolle di vetro inserite al centro. Sulla parete orientale poteva esservi verosimilmente una Annunciazione o una figura di Cristo in Maestà. L’aula conserva buona parte del rivestimento pavimentale marmoreo originario in opus sectile a motivi geometrici.
La compresenza di marmi preziosi, stucchi policromi e dorati a mosaici, si ripeteva nella zona del presbiterio dove al centro della parete est si apriva un arco in stucco di minori dimensioni rispetto agli archi dell’aula; al di sopra dello zoccolo a lastre marmoree continuava la scritta dedicatoria dell’edificio. La presenza di chiodatura sullo strato di preparazione che ancora aderisce alle tre volticelle del presbiterio suggerisce l’esistenza di un rivestimento a mosaico o a stucco, con la volta centrale sorretta da sei colonne con capitelli corinzi che sostengono due architravi di spoglio romane. Un’antica recinzione in marmo greco, divide l’aula dal presbiterio: due pilastrini con capitelli corinzi che sostengono una trave lignea. Il presbiterio è attualmente pavimentato con una lastricatura ad elementi lapidei di reimpiego.
Il Tempietto, che conserva anche porzioni di affreschi basso medievali, ospita nell’aula un coro ligneo del XIV secolo: quasi tutti gli interventi decorativi pittorici successivi alla fase iniziale, sono stati estratti dalle pareti e ricoverati parte nel locale adibito a sagrestia del Tempietto, parte nel Museo Cristiano del Duomo e nel Museo Archeologico Nazionale.

All’opera del patriarca Callisto (737- 757 d.C.) vengono attribuiti il rinnovamento e l’ampliamento del complesso ecclesiastico, sviluppato nel rialzo immediatamente a nord dell’area di Valle, divenuto nucleo episcopale proprio in età longobarda: costituito da un insieme di edifici comunicanti tra loro, comprendeva il complesso cultuale con la basilica intitolata a Santa Maria Assunta e il battistero di San
Giovanni Battista (monumentalizzato con il tegurio di Callisto e l’altare di Ratchis) e il Palazzo Patriarcale. I resti degli edifici di culto sono ancora in gran parte sepolti al di sotto dell’attuale Duomo di Cividale, (ricostruito nel XV secolo), mentre quelli del Palazzo Patriarcale sono stati messi in luce nell’area del palazzo dei Provveditori Veneti, attuale sede del Museo Archeologico Nazionale.
Sia il tegurio di Callisto che l’altare di Ratchis sono conservati, insieme ad altri elementi scultorei di età altomedievale, nel Museo Cristiano e Tesoro del Duomo, adiacente il duomo stesso. Il tegurio, fatto realizzare dal patriarca Callisto per il fonte ottagono del battistero della Basilica di Santa Maria, era composto da una serie di otto archetti marmorei sorretti da colonne con raffinati ed eleganti capitelli di imitazione corinzia.
Gli archetti si innalzavano alla congiunzione dei lati del parapetto ottagono, posto attorno all’invaso del fonte. Negli archetti, incorniciati lungo i bordi da fasce con motivi a matassa e tralci vegetali, sono scolpiti con immediatezza e realismo pavoni, leoni, agnelli, pesci, grifi e cerbiatti, accoppiati e affrontati ai lati degli archivolti e contornati da altri elementi decorativi floreali. Si tratta di rappresentazioni simboliche cristiane legate a un messaggio di redenzione, con gli animali che si abbeverano alla fonte della salvezza, tema centrale in un ambito battesimale. Sulla cornice superiore degli archetti corre un’iscrizione dedicatoria in caratteri capitali che ricorda in modo esplicito la committenza da parte del patriarca Callisto. L’iscrizione dedicatoria che corre lungo la cornice superiore dell’Ara di Ratchis consente di considerare l’altare come il dono del re Ratchis alla memoria del padre Pemmone, Duca di Cividale.
L’altare si presenta come un parallelepipedo composto da lastre marmoree assemblate, quattro delle quali sono scolpite con raffigurazioni incorniciate da motivi decorativi: sulla fronte un Cristo benedicente entro mandorla, affiancato da cherubini, è portato in trionfo da angeli, sui lati invece sono rappresentate scene della vita di Cristo relative rispettivamente alla Visitazione, alla Vergine e a Santa Elisabetta, e alla adorazione dei Magi; le figure sono rese dinamiche e con grande risalto cromatico grazie alle fitte solcature delle vesti. Sul retro un’apertura per visionare le reliquie è affiancata da croci gemmate, mentre altri motivi floreali riempiono il campo inferiore. Realizzato nel quinto decennio dell’VIII secolo, questo altare è da considerarsi una delle più singolari espressioni scultoree dell’epoca longobarda. L’opera era arricchita dall’inserzione di pietre preziose poste negli alveoli degli elementi floreali, delle croci, delle ali dei cherubini e probabilmente anche negli occhi di alcuni personaggi. Il tutto era completato da un’accesa policromia. Del Palazzo Patriarcale sono visibili alcune strutture nell’ambiente interrato del Museo Archeologico Nazionale, oltre al Pozzo, ancora detto di Callisto, posto dietro l’abside del Duomo.
L’edificio, collocato fianco della Basilica di Santa Maria e realizzato con muri costituiti da grandi ciottoli fluviali legati con malta, aveva una pianta quadrangolare e forse era dotato di un solarium al primo piano. È descritto dalle fonti come un grande palazzo, dotato di numerose stanze e di una cappella dedicata a San Paolino di Aquileia, aperto su un’area scoperta, un viridarium (“giardino”), in cui si collocava un pozzo, Della decorazione originale rimane un pavimento musivo a fondo bianco, con un disegno geometrico a tessere nere.

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