FESTE E BANCHETTI

Tra le pagine dell’Historia Langobardorum di Paolo Diacono (II, 28), emerge la descrizione di uno dei banchetti più conosciuti e macabri della storia longobarda.
In particolare, l’autore racconta di un pasto consumato da re Alboino e dalla sua sposa, la regina Rosmunda.
Con minuzia di dettagli, Paolo Diacono racconta di un banchetto celebrato a Verona, per la vittoria riportata sui Gepidi, il cui sovrano era proprio, Cunimondo, il padre della sposa.
Secondo le parole dello storico, Alboino ordinò di portare da bere del vino a sua moglie, che si vide arrivare sulla tavola una coppa ricavata dal capo di Cunimondo.
Il sovrano longobardo, avrebbe poi sarcasticamente invitato Rosamunda “a bere lietamente insieme a suo padre”.
Nonostante si tratti di una scena alquanto macabra e cruda, se ne può comunque evincere l’importanza per i Longobardi del simposio come momento di convivialità.
Non si tratta solo di un piacevole periodo di ristoro a tavola, ma anche di una circostanza in cui portare in scena strategie politiche e consumare vere e proprie vendette contro i nemici.
In occasione dei banchetti, si poggiava un lungo asse di legno su dei cavalletti, per poi appendere tutto alle pareti al momento di sgomberare la sala.
Le stoviglie erano poche e ciascuno aveva a disposizione un coperto essenziale, costituito da un bicchiere per le bevande, da una scodella per le minestre e da un tagliere per i cibi consistenti come le carni.
Nel caso dei ceti sociali inferiori, le stoviglie e le suppellettili devono essere addirittura condivise.
In genere, si attinge direttamente dal grande piatto da portata con un cucchiaio o con una forchetta che servono solamente a prendere la propria porzione di cibo che, depositata su un tagliere di legno, verrà portata alla bocca con tre dita.
Per questo motivo, i commensali dovevano lavarsi le mani prima e dopo il pasto, secondo quanto appreso dalle regole in uso presso gli antichi romani e i Bizantini.
A imbandire la tavola c’era sempre una tovaglia, che si trattasse di un refettorio monastico, di una parca mensa contadina o un banchetto aristocratico. Di questo ce ne forniscono prove certe gli inventari dei beni contenuti nel Capitulare de villis, risalente alla fine dell’VIII secolo, nel Breve d’Annapes, della prima metà del IX secolo, o ancora nel Chronicon Fontanellense (840-856).
Inoltre, sappiamo che d’abitudine, nei giorni di festa, nelle case nobiliari si rivestivano le pareti di stoffe e di arazzi e si stendevano tappeti sui pavimenti per rendere l’ambiente più piacevole e isolato dal freddo del pavimento e dei muri.

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